Se ieri mi chiedevo come fanno le persone ad andare avanti come se niente fosse senza menzionare il conflitto in Medio Oriente, oggi mi hanno ricordato che a volte è meglio non parlare proprio perché comunque sia come fai sbagli, ed è una roba snervante. Il giudizio spietato nei confronti delle altre persone è sempre spietato, non dà spazio a dubbi o al fatto che forse non vediamo le cose nello modo (il forse è un eufemismo, ovviamente).
Quando era scoppiato il conflitto in Ucraina non potevi dire quel conflitto ti colpiva particolarmente perché allora eri eurocentricə e non consideravi tutte le guerre nel mondo. Mi sono interrogata a lungo su quel tipo di affermazioni e continuo a pensare che generalizzare sia un errore.
Stamattina ho aperto Instagram ed dopo aver letto gli aggiornamenti dai soliti profili, ho scritto spontaneamente una storia elencando questi profili. Non va bene, perché non seguo nessun palestinese e la mia visione è non ho capito come falsata. Pensare banalmente che non con l’inglese faccio pena, che il mio cervello fatica anche quando trova la traduzione automatica (non presente per tutti i contenuti su Instagram), pensare semplicemente che erano solo alcuni profili era troppo facile.
Sì, scrivo perché ci sono rimasta male, scrivo perché c’è al solito troppo giudizio, su come le persone agiscono o non agiscono, si parte sempre dal presupposto che le persone sono idiote o stupide. Trovo pazzesco essere discriminata per il fatto di essere bianca e occidentale (tu che leggi prendila come un’iperbole, non ho mai nascosto il mio privilegio e lo continuo a riconoscere ma certe dinamiche…), lo trovo un paradosso assurdo ed anche una roba completamente incoerente.
Se c’è una cosa che mal tollero dell’attivismo è esattamente questo atteggiamento, quello di chi pensa che se non fai in un certo modo non stai facendo abbastanza, mentre accogliere è altro ed io questa accoglienza non l’ho ancora trovata, non nell’attivismo.
Da settimane ragiono su che tipo di attivista sono, se posso realmente definirmi così. Mi sono interrogata anche sui post e sulla puntata del Podcast a tema femminismo. Non che mi sia pentita di essermi esposta, sono convinta di quello che ho scritto e detto: le parole che usiamo verso noi stessə ci definiscono. In questi momenti mi sembra tutto senza senso, ancora meno del solito. Mi sembra di svuotare l’oceano con un cucchiaino, mi chiedo realmente che contributo posso portare nel mondo e non so se c’è spazio.
Certo è che queste dinamiche mi fanno passare la voglia di cercare di fare gruppo, tentativo perenne che fallisco immancabilmente proprio perché capitano certe cose e ci rimango male, quel male che ti fa solo sentire sbagliata. Non ce l’ho con nessunə sono solo triste perché non trovo il mio posto nel mondo e, ammetto, che mi viene solo che da piangere.
Alla fine neanche oggi mi sono alzata quando volevo, ha vinto la pigrizia del giorno di festa con marito a casa, ma non sento armonia, è salita solo una profonda tristezza.
Ovviamente l’episodio su Instagram è solo una goccia da cui è partita una riflessione molto più ampia. Al solito le domande sono mille e non ho grandi risposte, forse non ne ho nessunə.
Mi piacerebbe però che ci trattassimo tutte e tutti con più gentilezza e rispetto, rispetto dei limiti altrui, rispetto delle energie e risorse altrui. Il rispetto da vita a vita, che se già manca a certi livelli (ben più grandi di noi), non può mancare nella nostra quotidianità e relazioni.