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Occuparsi e non preoccuparsi

Giorni pesanti come macigni e molte cose su cui riflettere e agire. Inutile dire che sono indietro con tutto ma prima di mettermi a montare gli episodi della settimana per il Podcast (perché devo ripartire inutile aspettare che sia tutto in ordine, non lo sarà mai), avevo voglia di mettere in ordine fuori e dentro, soprattutto dentro.

Domenica ero a Genova per attività buddista e mi ha fatto effetto ritrovarmi di nuovo in presenza a confrontarmi con compagne e compagni di fede che non conosco personalmente, tutte e tutti uniti da un credo comune.

Da giorni rifletto su questo aspetto della mia vita, su come mi sono fatta distrarre negli ultimi anni, ancor prima della pandemia. Da come da fuori ho passato molto tempo a temere di sembrare invasata e fondamentalista.

Preoccuparsi troppo di ciò che accade intorno non è mai una cosa realmente utile o meglio, preoccuparsi di quello che le persone pensano di noi. Non abbiamo controllo sui nostri pensieri di certo non lo abbiamo su quelli altrui e soprattutto non ha proprio senso preoccuparsene.

Dovrebbe avere più significato nella propria vita occuparsi di diventare una persona di valore, dovremmo preoccuparci di creare valore.

Valore, che parola stra abusata. In questa epoca piena zeppa di parole, troppe di queste sono diventate moda e come tali sono state svuotate di ogni importanza. Spesso ho paura di utilizzare certe espressioni, se da un lato non voglio più preoccuparmi di quello che pensano le altre persone, dall’altro è mia responsabilità ciò che comunico e come. È una linea sottile, un equilibrio da ricercare ogni giorno, ad ogni frase, in ogni momento.

Chissà quante e quanti intorno a me si occupano di questa responsabilità. Chissà quante e quanti sono consapevoli di avere questa responsabilità.

Sto rileggendo Il monaco che non voleva avere ragione, la tentazione di finirlo in un giorno era tanta ma sto cercando di assaporarlo piano piano. L’idea era sottolineare e condividere le citazioni più belle, ma alla fine dovrei sottolineare tutto il libro. Non credo mi fermerò alla seconda rilettura. In fondo parla di Buddismo ed anche se è un’altra scuola i punti in comune sono tantissimi, tra cui il cuore del libro: lasciare andare, non è importante avere ragione, non serve avere ragione. Quanto sono importanti queste parole e quante poche sono praticate.

Finisco colazione e metto insieme gli appunti buddisti, avevo un obiettivo enorme per l’attività di domenica, ho un obiettivo enorme perché oggi è un po’ la resa dei conti.

Determinare di legare ad ogni attività buddista un obiettivo personale è una pratica che avevo perso, come avevo perso rimettere la fede al centro di tutto. Non è facile, non è facile neanche parlarne, ma più mi guardo intorno, più penso che sia fondamentale continuare a tentare di portare avanti un’altra narrazione. A costo di essere fraintesa e di dover riaggiustare continuamente il tiro.

Sono tante altre le riflessioni che navigavano nella mia testa, ora non me ne ricordo mezza. In fondo è proprio questo che mi ha insegnato Il monaco che non voleva avere ragione, che non sono i miei pensieri, ho dei pensieri, e questi vanno e vengono e nessuno è realmente fondamentale.

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